Nel Regno Unito, prima del Bribery Act 2010, venne emanata una norma il cui obiettivo era disciplinare e sanzionare – proprio come la 231 in Italia – la commissione di specifici reati all’interno dell’ente, per effetto dell’ inosservanza del Modello Organizzativo.
Tale normativa è contenuta nel Corporate Manslaughter and Corporate Homicide Act 2007, in virtù del quale le organizzazioni non sono imputabili per reati determinati (come avviene in ambito 231), ma in relazione a un evento presupposto coincidente con il danno più grave per la persona fisica – la perdita della vita – quale riflesso della condotta dell’ente.
Ancora prima, due erano le fonti utilizzate per richiamare la responsabilità di un ente societario che avesse causato la perdita di vite umane attraverso la propria attività.
In primo luogo, in common law (dunque nella giurisprudenza), tanto la giurisdizione scozzese quanto quella anglo/gallese avevano già elaborato il reato, rispettivamente, del corporate culpable homicide e del corporate manslaughter. In aggiunta a ciò, a livello legislativo (dunque in sede di statute ovvero di statutory law), un tentativo di repressione di tali condotte era rappresentato da The Health and Safety at Work Act 1974, avente, per l’appunto, lo scopo di contrastare assetti organizzativi non compatibili con l’esigenza di sicurezza sul luogo di lavoro.
In relazione alla responsabilità da corporate manslaughter, le Corti hanno fornito line-guida relative alla sua identificazione e attribuzione solo con il caso Tesco Supermarkets Ltd v Natrass, nel quale venne stabilito che l’ente societario poteva essere condannato per un reato non-statutario che richiedesse la prova della mens rea, nella misura in cui la persona fisica che avesse commesso il cd. actus reus fosse identificabile all’interno della società e la persona stessa risultasse essere di livello elevato.
Per quanto attiene il reato di culpable homicide, in Scozia, prima del CMCHA 2007, vi era stato un solo tentativo della magistratura volto a incriminare una società, nel caso di Transco Plc v HM Advocate, relativo all’esplosione di un condominio per una fuoriuscita di gas, in occasione del quale venne formalmente riconosciuto che il culpable homicide (omicidio colposo) potesse essere promosso nei confronti di una persona non umana, e ciò astrazion fatta dalla entrata in vigore del CMCHA 2007, legge che ha fatto seguito dopo pochi anni al common law crime sancito dal caso Transco.
Con l’entrata in vigore del CMCHA 2007, l’organizzazione è responsabile del reato di corporate manslaughter se il modo in cui le attività sono gestite, ovvero esercitate, causano la morte di una persona e ciò per effetto di una grave violazione delle relativo dovere di diligenza cui l’organizzazione medesima era tenuta nei confronti della persona deceduta. A tal fine, nella disciplina britannica, deve essere dimostrato il nesso causale fra la morte e la peculiare grave negligenza (gross negligence) alla quale gli organi gestionali (o senior management dell’organizzazione) hanno contribuito.
Infine, in punto di diritto, anche nel Regno Unito – così come in Italia – i tradizionali problemi di identificazione, in ambito societario, del soggetto penalmente responsabile di un reato si riflettono sulla tipologia di pena prevista. A tale riguardo, la Section 9 del CMCHA 2007 (rubricata “Power to order breach etc to be remedied”) fa genericamente riferimento ai rimedi (remedies), lasciando tuttavia all’organo giudicante ampio spazio discrezionale circa la specifica sanzione da irrogare, pur nell’ambito di tipologie di massima identificate dalla legge. A sensi della Section 9(4), l’ordine della Corte dovrà specificare il periodo entro il quale le misure imposte all’ente responsabile devono essere adottate e potrà imporre all’organizzazione di fornire all’organo requirente, entro uno specifico periodo, prova che le misure prescritte siano state assunte.
di Pierdomenico de Gioia-Carabellese e Iole Anna Savini
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