Quando un contratto preliminare di compravendita viene risolto consensualmente, la caparra versata, insieme all’imposta di registro pagata su di essa, deve essere restituita. Questa posizione è stata chiaramente ribadita dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 27093/2024, che ha correttamente respinto le argomentazioni avanzate dall’Agenzia delle Entrate.
Indice dei contenuti
- 0.1 Il contesto: il ruolo dell’imposta di registro
- 0.2 La posizione dell’Agenzia: interpretazioni sulla base di una circolare
- 0.3 La decisione della Cassazione: il diritto al rimborso
- 0.4 Implicazioni pratiche per i contribuenti
- 1 Prima lezione
- 2 Seconda lezione
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Il contesto: il ruolo dell’imposta di registro
Nel caso specifico, alla stipula del contratto preliminare di compravendita, veniva versata una caparra confirmatoria, su cui si applicava un’imposta di registro dello 0,5%, come previsto dall’art. 10 della Tariffa allegata al DPR 131/86. Tuttavia, successivamente le parti hanno deciso di risolvere consensualmente il contratto, con la conseguente restituzione della caparra.
L’acquirente, che aveva versato l’imposta di registro, ha quindi legittimamente richiesto all’Agenzia delle Entrate il rimborso dell’importo pagato, essendo venuta meno la ragione stessa dell’imposta a causa della risoluzione del contratto. L’Agenzia, però, ha respinto la richiesta, basandosi su un’interpretazione risalente a una circolare del 1986.
Vi è da notare che sul punto la norma di legge non è nè criptica e neanche di difficile comprensione, si dice testualmente “Se il contratto preliminare prevede la dazione di somme a titolo di caparra confirmatoria si applica …” ndr. una determinata aliquota di imposta di registro.” In entrambi i casi l’imposta pagata è imputata all’imposta principale dovuta per la registrazione del contratto definitivo.” Cioè ti pago l’imposta adesso, ma poi dovrai tenerne conto quando registro il contratto definitivo e quindi l’imposta è dovuta solo se il contratto definitivo viene registrato.
La posizione dell’Agenzia: interpretazioni sulla base di una circolare
L’Agenzia delle Entrate ha giustificato il diniego del rimborso, di fatto citando se stesso, ovvero richiamando la C.M. 37/1986, secondo cui, se il contratto definitivo non viene stipulato, le somme riscosse restano comunque acquisite all’Erario. La Cassazione ha ricordato all’Agenzia delle Entrate che le Circolari non sono fonti del diritto e che il giudice nel valutare le situazioni deve prendere il considerazione prima di ogni cosa la legge.
La decisione della Cassazione: il diritto al rimborso
La Corte di Cassazione ha respinto la posizione dell’Agenzia e ha disposto il rimborso dell’imposta di registro. Secondo la Corte, il diritto al rimborso non deriva dalla natura risarcitoria della caparra, ma dal semplice fatto che il contratto preliminare è stato risolto e la somma versata è stata restituita. L’imposta di registro, infatti, deve essere considerata come un’anticipazione, la cui esistenza è giustificata solo se si procede con la stipula del contratto definitivo.
Implicazioni pratiche per i contribuenti
Cosa ne deduciamo in concreto da questa vicenda. Le lezioni da trarre da questa vicenda sono due.
La prima ci parla di quanto è veloce la giustizia tributaria e di quanto costa al contribuente che possa per qualche motivo essere ingiustamente colpito da un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate. La seconda è la lezione pratica di diritto tributario a cui ci si deve attenere.
Prima lezione
Il contribuente per ottenere giustizia ha speso quasi quanto è l’ammontare dell’imposta di cui ha chiesto il rimborso. Dalla lettura della sentenza infatti si legge che il rimborso richiesto è pari a euro 8.500. I giudici di Cassazione riconoscono alla parte vittoriosa, ovvero il soggetto a cui era stato negato il rimborso, il pagamento delle spese legali per i tre gradi di giudizio in euro 6.200 a cui se aggiungiamo iva e cassa previdenza arriviamo a euro 7.866,56. A questo dobbiamo aggiungere che la vicenda partendo dalla prima sentenza di 1^ grado del 2018 è arrivata a conclusione a ottobre 2024. Quindi ci sono voluti più di 6 anni per stabilire chi aveva ragione, poi si vedrà con quali tempistiche l’Agenzia delle Entrate provvederà al rimborso degli 8.500 euro e delle spese legali. C’è da osservare peraltro che non sempre la vittoria in giudizio comporta anche il rimborso delle spese. Evidentemente in questo caso il rimborso delle spese ha il senso di rafforzare la decisione a favore di una parte.
Seconda lezione
Questa decisione della Cassazione fornisce un chiaro orientamento per i contribuenti: se un contratto preliminare viene risolto consensualmente e la caparra viene restituita, anche l’imposta di registro versata deve essere rimborsata. È importante sottolineare che l’Agenzia delle Entrate, nonostante continui a utilizzare interpretazioni datate, non può opporsi a questo diritto quando è evidente che non vi è stata alcuna conclusione del contratto.
C’è da riflettere molto a mio avviso sulla prima lezione, sebbene meno evidente è a mio avviso la più importante.